Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

Rapporto dello stesso il 4 1 87

Nella formazione iniziale, non ancora Britata Stella, assunse il nome di "Tigre"; dato per morto lo stesso nome fu assunto da Intelvi Luigi, nella zona viene pertanto ricordato come "Tigreto"

Il 25 luglio 1943, giorno della caduta del fascismo, mi trovavo militare a Genova con il grado di caporale maggiore nel 1° Reggimento Autieri. Assisto alle manifestazioni della popolazione genovese che sfila per le vie della città; la gente esulta per la caduta del fascismo e di Mussolini e chiede a gran voce la fine della guerra.
L’8 settembre 1943, data dell‘armistizio, sono a Trento; sto per essere inviato in Grecia, al comando di un plotone di militari richiamati, già esperti. Udita alla radio la notizia vaga ed incerta dell’armistizio, noi del plotone ci procuriamo delle armi. La sera stessa i Tedeschi attaccano la caserma: solo il mio plotone oppone resistenza sparando. Purtroppo le munizioni sono poche e finiscono, così siamo fatti prigionieri, come tutti gli altri.
Il 12 settembre, mentre ci caricavano sui treni per portarci in Germania, riesco a fuggire dalla stazione di Trento. Mi seguono cinque militari del mio paese, tra i quali ricordo Cracco Carlo (classe 1922), Cerato Gino (classe 1923) e Stella Enrico (classe 1923). Arriviamo a Valdagno la notte del 12 settembre.
Tornato a casa, alla Miniera di Maglio di Sopra, prendo contatto con Visonà Severino (Nave). L’ambiente della località detta “Miniera“ era antifascista gia dall’avvento del fascismo.
Ci abitavano diverse famiglie operaie. Alcuni erano occupati presso la Marzotto, altri lavoravano alla miniera di carbone di Dalle Ore, altri ancora alla Valdol – stabilimento per la lavorazione delle terre attive. L'osteria  “La Miniera” era pure un luogo di incontro per parecchi lavoratori della Valle dell’Agno (la Dalle Ore e la Valdol avevano allora circa 250-300 dipendenti). Dopo l’8 settembre gli antifascisti (che già frequentavano d’abitudine quel locale) si trovarono più spesso presso l’osteria della “Beppa”, sita in località “Bucchini” della Miniera. C’erano contatti e incontri frequenti, quasi quotidiani, con “Nave”, Alberto Visonà, Rino Torrente, Paolo Carbognin,  Giovanni Dante Perlati (Giove), Italo Rossi (Pedro), Archimede e Corrado Massignani ed altri.
Partecipo con “Nave” e altri amici, in quei giorni dopo l’armistizio, al recupero delle armi al “Castello” e ai Bevilacqua di Maglio di Sopra, abbandonate dai militari fuggiti (mitragliere da 20 mm (recte Saitìn etienne da 8 mm). e altre armi).
Si provvede pure alla distribuzione di materiale clandestino, fornito da  Piero Tovo (Piero Stella) a “Nave“ e al gruppo che lavora con lui. Tovo è in stretto contatto con Bruno Gavasso e Sergio Perin. Vengo a conoscenza, tramite Pietro Tovo, addetto militare del CLN, che a Monte Spitz e a Malga Campetto si è formato un primo nucleo di Resistenza. Con “Nave” facciamo pervenire ad esso parte del materiale necessario, alternandoci nell’invio di rifornimenti con “Marco” (D‘Ambros Giuseppe) di Fonte Abelina. ll nucleo acquista consistenza e dicembre può contare su di una ventina di elementi armati. Ma ai primi rigori dell’inverno i giovani ritornano a casa e trovano rifugio presso famiglie sicure. Restano in attesa di migliori eventi.
Anche il “gruppo” che si è formato a Castelvecchio, subito dopo l’8 settembre 1943 (grazie all’impegno di Bruno Gavasso, Sergio Perin, Nicolò Zanotelli, Alberto Visonà e Gianni Lotto, con il contributo importante di Livio Bottazzi ed altri di Vicenza e con l’aiuto di Antonio Pellizzari di Arzignano) vive la stessa esperienza.
Alcuni giovani ritornano a casa, altri trovano ospitalità nelle contrade più alte.
Verso la metà di gennaio del 1944 incontro “Giani” a Malga Campetto. Avevo ripreso i “viaggi” di rifornimento. Mi mandava “Nave”, con vestiario e poche armi e munizioni da lui raccolte con i suoi collaboratori. Parlo con “Giani” del bisogno di armi ed è prossima anche la “chiamata”; mi convinco così che è opportuno che mi presenti temporaneamente, per tentare di recuperare armamento. Verso la fine di gennaio dello stesso anno, dalla vallata dell’Agno, 200 giovani circa si presentano al Distretto Militare di Vicenza. Con loro ci sono anch’io. Mi spettano i gradi di sergente. Vengo nominato Capo-drappello e assegnato al Genio militare di Vercelli con altri 90 uomini. Appena giunti, siamo venuti a conoscenza che saremmo stati inviati in Germania prima di essere vestiti ed armati. Allora li ho riuniti ed esposto loro la mia intenzione di tornarmene a casa, informandoli anche delle difficoltà che avremmo dovuto superare. La stazione, infatti, era controllata dai fascisti e il ponte sul Po da due posti di blocco. Non conoscevo altre vie di uscita.
Dei 90 uomini, 60 decidono di fuggire. Subito spiego loro le modalità della fuga; li inquadro, li faccio cosi uscire dalla caserma e, marciando attraverso Vercelli, passiamo il ponte sul Po, dicendo alle sentinelle che dovevo portare le reclute a Bassano del Grappa per essere incorporate con gli alpini. Transitiamo per Milano in pieno sciopero, ma riusciamo in qualche modo a cavarcela. Tutti raggiungiamo le nostre abitazioni.
Non potendo più rimanere a casa, comincio la spola tra la zona di residenza e la montagna, dove si trovava il comando. Vengo a sapere, nell’ambiente della “Miniera”, che il 16 febbraio 1944 c’è stato uno scontro a “Malga Campetto” fra i partigiani e i fascisti, che da parte nostra non c’è stata alcuna perdita, mentre loro hanno lasciato sul terreno ben 17 morti. Per questo il “gruppo di Malga Campetto” si allontana provvisoriamente dalla zona. I partigiani meno conosciuti scendono a Valle, gli altri — con il comando — si spostano a Durlo di Crespadoro, in contrada Zordani. Il 20 febbraio 1944, per incarico di Pietro Tovo, accompagno giovani in montagna. Sono “Poker” Turra Giovanni, “Rana“ Bruno Guiotto, “Cice“ e un altro. Sono tutti di Valdagno. A sera inoltrata arriviamo alla contrada “Bosco” di Marana, dove riposiamo in un fienile. Al mattino, una staffetta li prenderà in consegna per accompagnarli in Durlo, dove si trova il Comando. All‘alba siamo sorpresi da una colonna di tedeschi in perlustrazione. Non essendoci sufficiente vegetazione per poter sfuggire, è necessario fermare la colonna prima del dosso, sulla strada, in prossimità della contrada. Per evitare la cattura degli altri, decido di intervenire. Vado incontro ai tedeschi, avvertendo prima i “quattro“ di non muoversi finché non sono arrivato vicino al dosso. Non sono armato ma il pericolo è grande. Alzo le mani e vado incontro alla colonna, che si ferma. Mi chiedono dei chiarimenti, che cerco di dare alla meglio; intanto i quattro hanno il tempo di allontanarsi. Uno di loro divenne “Poker”, che poi passò alla formazione di Marozin (“Vero”). La cosa mi va bene grazie anche al maresciallo dei Carabinieri di Valdagno, Mursia, che si trova con i tedeschi e garantisce per me. Dopo questo episodio decido di salire in modo definitivo in montagna, dove trovo una trentina di giovani che attendono l’evolversi della situazione. Verso la fine di febbraio o ai primi di marzo 1944, sorgono le pattuglie: incomincia la “resistenza” attiva nelle nostre zone. All’inizio le pattuglie sono quattro: a me viene affidata la “quarta”, cosi composta: Lorenzino Griffani “Tigre” capopattuglia, Luciano Dalla Valle “Leo“, Camillo Dalla Valle “Tom”, Giuseppe Refosco “Josca”, Aldo Fongaro “Falco” e Antonio Cracco “Mex“. La mia pattuglia nasce in contrada Zordani di Durlo. “Giani” ci dà l’ordine di fare il giro della Valle dell’Agno, di parlare con la popolazione perché cresca la fiducia nei partigiani, perché i giovani non si presentino ai bandi di chiamata, di procurare armi e altri generi. Ricordo che da Recoaro erano pervenute le carte annonarie. Malgrado le difficoltà si opera in pieno giorno, si attraversano le contrade: i giovani non si presentano più ai bandi di chiamata, si gettano le premesse per lo sviluppo di tanti altri nuclei di Resistenza.
Parto con la mia pattuglia e da Durlo, attraverso l’alta Val del Chiampo, passiamo per Marana e Castelvecchio, scendiamo a Campotamaso e, per i “Vegri”, arriviamo al “Castello” di Valdagno. Poi attraversiamo la “Figigola” e la “Crosara”, tutte le contrade alte di Piana e anche il centro del paese. Poi ci dirigiamo verso S. Martino di Brogliano e saliamo a Quargnenta e a Selva di Trissino. Siamo entrati nell’Albergo Belvedere con le carte annonarie e abbiamo acquistato dei generi di prima necessità. La mamma di “Catone“ (Alfredo Rigodanzo), dietro l’albergo, ci ha dato delle scodelle con pane e latte. Il giorno dopo siamo arrivati sino alla contrada “Piccoli” di Trissino, dopo essere stati sugli “scogli del campanile” per osservare, dall’alto, la situazione in Villa Da Porto (ora Marzotto) dove c’erano i tedeschi. La mamma dei fratelli Piccoli, Adelaide Sartori, riconoscendoci subito come “ribelli”, ci ha invitati in casa e ci ha fatto sedere a tavola al posto dei propri figli. Poi abbiamo ripreso il viaggio verso Brogliano, facendo una puntata all’osteria dei Finotti Siamo ripartiti quindi per S. Martino e Cornedo. Abbiamo trascorso la notte in una contrada alta, presso la famiglia Antonio Pretto “Cerin”.
1l giorno dopo siamo scesi verso Priabona e, proseguendo, siamo transitati per Cereda. In centro, bloccate le due strade di accesso, abbiamo strappato e bruciato tutti i manifesti fascisti e tedeschi che erano appesi all’osteria del “Figaro”.
Una spia, mentre compiamo la nostra azione, riesce ad avvertire i tedeschi. Noi intanto siamo partiti per il “Colletto di Cornedo”, sopra S. Sebastiano. Ad un tratto ci accorgiamo di essere inseguiti dai tedeschi e ci dividiamo. Tre partigiani trovano un nascondiglio e rimangono fermi e cosi si salvano. Io e i due fratelli Dalla Valle partiamo di corsa verso l’alto, cioè verso il Faedo. In prossimità di una fontana, vicina ad una casa (contrada Zattera), sbucano all’improvviso dall’altra parte alcuni tedeschi, che sono stati aiutati nella “caccia” da una persona di Cereda, salita con loro in macchina. Siamo fatti prigionieri (14 marzo 1944). Portati a Valdagno siamo sottoposti ad interrogatorio per ben nove ore. Il processo è rapido e il Tribunale militare tedesco, il 27 marzo dello stesso mese, ci condanna a morte. Come scrive Eugenio Candiago “Enigma” nel libro “La passione del Chiampo” (edito il 3 settembre 1945 in Valdagno per i tipi della Tipografia Zordan) dovevamo essere impiccati in Altissimo al “Campo Graizzaro” su di uno spiazzo detto “la pozza”, dal quale si vede tutto il paese, il mattino del 31 di marzo.
Dovevamo restare appesi per tre giorni, per servire da esempio, essendo sparito il 5 marzo il locale segretario del fascio. Invece la pena viene tramutata in carcere a vita (ma questo l’ho saputo più tardi, al ritorno dalla Germania). Il giorno dopo l’arresto sono stato portato alle carceri di Vicenza. Dopo due mesi e mezzo a S. Biagio, sono avviato al forte S. Leonardo di Verona (9-5-1944). Dopo qualche giorno sono deportato in Germania, a Monaco il 18-5-1944. I miei compagni subiscono la medesima sorte. Il giorno 10-6-1944 trasferito a Berriau, in carcere politico. Dalla Germania sono tornato nell’agosto del 1945. Sono riconosciuto partigiano combattente con il grado di sottotenente”.