Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

Riporto da "Studi Storici G. Anapoli"

Gennaio 1944
Rastrellamenti e rappresaglie. La repressione nazi-fascista nel Vicentino.
Durante l'occupazione tedesca e la “Repubblica di Salò”, truppe tedesche e la quasi totalità dei repubblichini operano contro i partigiani in rastrellamenti e rappresaglie.
“La rappresaglia è una forma di ritorsione immediata a fronte di un attentato o di un agguato dei partigiani ed era attuata da formazioni tedesche appositamente addestrate, gli Jagdkommando, molto mobili, ma poco numerose. Poiché si riteneva che la rappresaglia sarebbe stata tanto più efficace quanto più fosse apparsa ingiusta e feroce, venivano consapevolmente punite e uccise persone del tutto innocenti. La rappresaglia, infatti, non era fatta per colpire direttamente i partigiani, ma per spargere il terrore tra i civili, specie tra le popolazioni della montagna, ed isolare così i “banditi” facendo loro mancare protezione, ricoveri e rifornimenti”.
La politica di repressione militare messa in atto dalle autorità tedesche in Italia dipende in larga misura dalle fasi di sviluppo dell'attività partigiana. Anche per quanto riguarda la provincia di Vicenza, possiamo dire sostanzialmente lo stesso. Dopo l'effettiva occupazione del territorio vicentino (tra il 10 e il 12 settembre del 1943), segue un periodo di relativa calma. Le unità stabilitesi inizialmente, anzi, passata la prima fase di normalizzazione, sono addirittura ridotte: alcune partono per il fronte o sono assegnate ad altre zone. Nei primi mesi il controllo del territorio è compito di forze tutto sommato esigue. Si cercano soprattutto antifascisti e “badogliani”, o ex prigionieri di guerra Alleati fuggiti dai campi di detenzione e, ovviamente gli ebrei.
La prima operazione di un certo livello contro un movimento partigiano agli albori, è quella effettuata tra il 14 e il 17 ottobre 1943 in zona Schio (Torrebelvicino, Valli del Pasubio e Tretto). Una seconda è effettuata sull'Altopiano di Asiago (Conco, Fontanelle e Rubbio) il 10-12 gennaio 1944.
In primavera la situazione comincia a cambiare: le formazioni partigiane, a causa anche dei bandi di reclutamento di Salò, s’ingrossano repentinamente e danno il via alla lotta armata. Cominciano una serie di azioni sul territorio collinare e montano, dove i partigiani ricevono i primi aviolanci dagli Alleati.
In Val Leogra, ad esempio, la reazione tedesca porta ai due ravvicinati rastrellamenti del 30 aprile e del 18 maggio 1944 nell'area del Tretto. Il 28 aprile, abbiamo un'operazione nell'area di Recoaro.
Gli organi di sicurezza tedeschi individuano inoltre, da metà maggio, consistenti forze partigiane nell'area tra Schio e Asiago, dove è lanciata l'Operazione “Montebello”.
Si tratta comunque, fino alla fine di maggio, di una situazione assai meno drammatica che in altre zone dell'Italia settentrionale. Le cose cominciano veramente a cambiare a giugno '44, quando l'offensiva partigiana raggiunge un'intensità del tutto nuova. Pensiamo, per fare un esempio, alla prima quindicina del mese di giugno in Val Leogra, dove tedeschi e fascisti devono subire una lunga serie di colpi di mano, agguati, esecuzioni mirate, assalti, sabotaggi, con decine di perdite per opera della neonata Brigata “Garemi”. Il traffico militare che attraversa la vallata difficilmente transita indenne.
Le fonti partigiane riportano addirittura azioni clamorose, di cui manca però per alcune la conferma da parte tedesca: la cattura dei piani di un'arma segreta, dei progetti delle fortificazioni prealpine, di una missione diplomatica giapponese (rappresentanti industria bellica nipponica). E' sicura invece, l'eliminazione del ten. colonnello Klaus Schneider (Erkundungs-Stab Italien), il 15 luglio a Pian delle Fugazze. Sul piano dello sfruttamento economico delle risorse un duro colpo sono, a metà giugno, i sabotaggi alle centrali elettriche della vallata che forniscono energia agli stabilimenti militarizzati. Ancor più pesante il sabotaggio al cementificio di Schio, che blocca la preziosa produzione di cemento per diverse settimane. Una quindicina di atti analoghi di sabotaggio accadono pochi giorni dopo anche nella zona di Recoaro-Valdagno.
I rapporti tedeschi di metà giugno indicano che tutta l'area tra Belluno, Vittorio Veneto, Bassano, la Valsugana, Schio e Rovereto è “fortemente perturbata da bande”. Un rapporto del 29 giugno 1944 dell'Armeegruppe von Zangen, che controlla la confinante Alpenvorland, dice:
“Non si tratta più di gruppi isolati, bensì di un vero e proprio movimento insurrezionale, organizzato e condotto militarmente dal nemico, secondo i criteri della guerriglia alle spalle del fronte ... La guerriglia si è accresciuta particolarmente intorno al Pasubio, per impedire la costruzione delle opere di fortificazione della «barriera prealpina».
... L'estensione dei focolai di resistenza rivela la chiara volontà di interrompere le vie di rifornimento dal Reich. Le contromisure prese sono attualmente insufficienti, ma anche se fossero draconiane non si riuscirebbe a pacificare il territorio”.
Scatta il cosiddetto giro di vite. Gli ordini partono in alto, dove è in atto uno scontro tra Kesselring, che vuole il controllo della repressione, e Wolff, che non vuole rinunciare all'autonomia di SS e Polizia. Si giunge a un compromesso: le direttive sono emanate da Kesselring, quindi dalla Wehrmacht, ma il responsabile dell'attuazione è Wolff. Ne fa le spese il terzo organismo tedesco in Italia, in altre parole l'autorità amministrativo-militare del generale Toussaint, che ha giurisdizione sul territorio occupato, escluse le zone del fronte e le Zone d'operazione: in sostanza le Militärkommandanturen perdono potere nella lotta alle bande.
Va detto che il Comando di Piazza di Vicenza e i vari presidi dispongono già di forze utilizzate per il controllo del territorio e per azioni di contro-guerriglia, soprattutto, le Alarmeinheiten (Unità d'allarme) e gli Jagdkommando (Commando caccia). Si tratta di speciali reparti incaricati della repressione immediata: ad esempio l'eccidio di Borga di Fongara dell'11 giugno, con 17 vittime, è scatenato dal Commando caccia di Valdagno agli ordini del tenente Stery Joseph, comandante della colonna attrezzature del Luftnachrichten-Betriebsabteilungen zur besonderen Verwendung 11.
All’1 giugno 1944, l'organigramma delle forze di primo impiego comprende 13 Commando caccia: 3 a Vicenza, 2 a Thiene, 1 ciascuno a Schio, Marano, Valdagno, Recoaro, Marostica, Bassano e Lonigo. In tutto circa 360 uomini.
A Vicenza operano un distaccamento dell'aeroporto militare, uno del genio ferroviario e un reparto tratto da un battaglione della riserva; a Thiene, Bassano e Marostica squadre della Flak (contraerea); a Valdagno e Arzignano due reparti addetti a trasmissioni e avvistamenti aerei; a Lonigo un gruppo della Compagnia d'allarme corazzata (Panzer Ausbildungs Abteilung Süd).
Numerosa è l'unità di Recoaro: 102 uomini della 1^ Compagnia, 3° Btg. 12° Regg. SS Polizia; a Marano Vicentino un gruppo di 30 uomini e 3 ufficiali del 263° Btg. Orientale (Ost-Bataillon 263), comandato dal tenente Schrick; a Schio, il mar.llo Peters comanda 27 uomini appartenenti a un reparto cantieristico da campo della Luftwaffe.
Il compromesso prima accennato tra Kesselring e Wolff, rimescola le carte modificando drasticamente la “guerra alle bande”. Il territorio è diviso in “Settori di sicurezza”, affidati a “Comandanti di sicurezza”, unici responsabili locali della contro-guerriglia.
Il 2 luglio '44, mediante ordine di Wolff, il capitano Buschmeyer Fritz, comandante del 263° Btg. Orientale (Ost-Bataillon 263), è nominato Comandante di sicurezza del Settore Vicenza-Nord.
L'area in questione comprende i centri di Recoaro, Valdagno, Arzignano, Schio, Piovene Rocchette, Arsiero, Marano Vicentino, Thiene, Marostica, Bassano del Grappa, Asiago, ed è divisa in due sotto-settori: quello “Ovest”, con propria sede a Valdagno, Quello “Est” a Bassano.
Unico compito di Buschmeyer è la lotta alle bande, e per assolverlo ha a disposizione assoluta tutte le unità che si trovano nel Settore, cioè reparti della Wehrmacht, della Luftwaffe, delle SS di Polizia, dell'Organizzazione Todt, formazioni italiane.
Gli ordini operativi sono precisi e categorici: ogni unità deve farsi trovare pronta e all'erta, ed è responsabile dell'invio di un rapporto immediatamente dopo ogni atto di forza delle bande, con indicazione chiara di tutti i provvedimenti presi. Sulla cosa si fa un esplicito richiamo: “Non deve pervenire alcuna relazione che non contenga le contromisure adottate”.
Con l'arrivo dell'Ost-Bataillon 263, la prima operazione investe l'Altopiano di Asiago, il 4-5 giugno. Il 16-18 giugno tocca alla Val Leogra con l'Operazione “263”. E' il terrore, anche per la gente comune: ai morti si aggiunge oltre un centinaio di ostaggi incarcerati e minacciati. D'altronde Kesselring ha appena emanato la sua famosa direttiva, che garantisce l'impunità agli ufficiali subalterni nell'effettuazione delle rappresaglie:
“La lotta contro i partigiani deve essere combattuta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità.
Io proteggerò quei comandanti che dovessero eccedere nei loro metodi”.
Ad esempio a Valdagno ne fanno le spese, il 3 luglio, sette antifascisti fucilati per rappresaglia dopo l'uccisione alla Ghisa di Montecchio del tenente Führ Walter, del Reparto trasmissioni aeree per impieghi speciali n° 11 - Luftnachrichten-Betriebsabteilungen zur besonderen Verwendung 11, dislocato con la 4^ Compagnia a Valdagno. Pochi giorni dopo (5-11 luglio '44), è la Val Chiampo a essere investita da un vasto rastrellamento, con 4 partigiani e 75 civili trucidati.
Nonostante la “pacificazione”, il pericolo partigiano continua a essere fortemente percepito dai tedeschi. A inizio agosto, ad esempio, la Platzkommandantur di Vicenza interviene sulla sicurezza, lamentandosi con i vari presidi che diversi punti di appoggio sono stati scardinati dai banditi, e che truppe e ufficiali sono stati catturati perché non era stata prestata sufficiente cura alle misure di sicurezza. È ordinato di procedere al rinforzo delle postazioni e di incrementare i servizi di guardia.
Negli stessi giorni Wolff ordina che sia rinforzata la protezione ai depositi di carburante, e dispone l'assoluto divieto di circolare senza scorta in territori occupati da bande. La definizione nazi-fascista di “bandito” è la seguente: “Bandito è colui che detiene un’arma, porta con sé munizioni, colui dalla cui casa viene aperto il fuoco, chi non è domiciliato in questa zona e non vi ha una propria occupazione”.
Intanto, in seguito a dei colloqui tra la Platzkommandantur e un incaricato del Vescovo di Vicenza, i tedeschi esigono che sia regolato il suono delle campane: si accusa il clero di essere connivente con i ribelli.
Era ben noto che i bombardamenti sulle città e linee di comunicazione hanno fatto fuggire verso la pedemontana migliaia di profughi privi spesso di documenti e di residenza, né poteva essere ignoto che altre centinaia di persone percorrevano le colline in cerca di cibo per le famiglie in città. Istruzioni come quella riportata dava assoluta carta bianca ai rastrellatori di uccidere, bruciare, saccheggiare, anche se in zona non ci fosse nessun “bandito”.
Oltre ai “russi”, arrivano anche le Brigate Nere che apprendono perfettamente il sistema tedesco della rappresaglia, anzi lo arricchiscono di originali varianti. Si uccide con una facilità straordinaria e, se non basta, si svaligiano case, si rapiscono persone, si violentano donne, si mangia e si beve senza pagare nelle case private e infine si portano a casa, alle proprie famiglie, trofei di guerra che consistono in capi di vestiario, scarpe, biancheria, formaggi, salumi, portafogli, orologi, catenine e anelli d’oro … Dove arriva un rastrellamento, passa la spogliazione sistematica e completa.
“I rastrellamenti finivano col prendere la forma della caccia all’uomo. Si ricercavano i renitenti alla leva, gli operai restii ad arruolarsi per il lavoro in Germania, si sparava senza alcun riguardo su ognuno che per paura accennasse a fuggire. Le perlustrazioni, specialmente nelle case di campagna, davano occasione a furti, a rapine, a prepotenze. Le popolazioni, inermi ed indifese, erano spaventate, preoccupate per la sorte dei loro uomini e delle loro cose. Quando si delineava la minaccia di un rastrellamento in questa o quella zona, in questo o in quel paese, era una fuga generale di tutti gli uomini dai sedici ai sessant’anni, che cercavano scampo nei boschi, nelle campagne, nelle caverne, in tane precedentemente scavate sotto terra. Scoperti, erano arrestati e deportati e non raramente fucilati sul posto”.
A questo punto le forze d'occupazione hanno riacquistato una certa supremazia sul territorio: dal Quartier Generale di Wolff si parla di “incipiente stanchezza delle bande e spossatezza della popolazione”, si ordina che ogni tentativo di trattativa sia respinto, salvo che i ribelli non intendano arrendersi immediatamente.
Ma è un successo effimero: l'offensiva partigiana riprende poco dopo con vigore. E immediatamente si scatena la reazione, più feroce che mai. E' il ciclo dei grandi rastrellamenti dell’agosto-settembre ‘44, che provoca nel complesso centinaia di morti e feriti.
Si parte con l'Operazione “Belvedere” contro la “Zona libera del Pasubio” il 10-17 agosto ‘44, poi con l'Operazione “Hannover” sull'Altopiano di Asiago il 4-15 settembre, sfociata nella battaglia di Granezza. Contemporaneamente, dal 2 al 16 settembre è la volta dell'Operazione “Timpano”, infine quella del Grappa, l'Operazione “Piave”, eseguita tra il 19 e il 27 settembre 1944. Le conseguenze sono tragiche per le forze partigiane, i resoconti tedeschi riportano 385 perdite inflitte al nemico. A tutte queste operazioni oltre all'Ost-Bataillon 263, partecipa anche la Legione “Tagliamento”, che dipende direttamente da Wolff.