Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

Il Comado della Divisione Nono Stella il 24 maggio, giorno della consegna della armi. Il primo a sinistra nella foto è Gino Ongaro

Nato a Recoaro abitava in via Ongaro alle pendici dello Spitz. Occupato come operaio alle demaniali di Recoaro partì per alessandria dove trovò lavoro come edile nella costruzione di caserme per militari.
In quella occasione conobbe Pellizzaro Antonio detto Lampo, poi passato alla resistenza col nome di "Lupo". Nel 42 fu richiamato e mandato come alpino a Caporetto dove le reclute venivano addestrate per essere mandate in URSS. Per sua fortuna venne invece mandato al campo invernale sul monte Nero evitando così la distruzione dell'ARMIR e in particolare della Julia dove doveva essere mandato . Dopo l'esperienza venne colpito da polmonite bilaterale e pleurite che gli procurò 23 giorni di ricovero e due mesi di convalescenza.
Dopo i due mesi la visita dell'ospedale di Padova allungò la convalescenza di altri 4 mesi.
venne colto dall'armistizio presso i deposito bis degli alpini a Gorizia.  Disertò con altri pochi compagni mentre i tedeschi facevano prigionieri i militari italiani e li deportavano in Polonia.
Arrivato a Recoaro venne arrestato dai carabinieri per aver lanciato una bomba a mano nell'Agno. A seguito di questo episodio si fece quattro mesi di prigione presso il carcere San Biagio di Vicenza dove ebbe modo di vedere il rinascente fascismo e venire a contatto con altri sovversivi colà detenuti.
Uscito dal carcere ai primi di marzo del '44 doveva presenatarsi alla GNR per il bando di reclutamento del 18 febbraio '44.
Era da poco avvenuto lo scontro di Malga campetto e Gino Ongaro pensò di presentarsi ai partigiani dove prese il nome di Ursus.
A lui e ad altri venne ordinato di prendere sede sopra Stato (contrà Cubi, Brandelleri e Gecchelini). In quel periodo vennero aiutati dal parroco di Stato, don Antonio Ziliotto che era conosciuto anche con il nome di Valpolicella che però non era un nome di battaglia partigiano, ma un soranome. Colà conobbe Sbabo Severino, ferito nell'imboscata a Riva di Staro l'8 maggio 44 e fucilato a Cereda di Cornedo 3 giorni dopo.
Il gruppo malearmato si fermo in quelle contrade fino ai primi di Aprile.
Ritornato a Recoaro acquistò subito la fiducia di Pino che in quel momento di fatto comandava la formazione Fratelli Bandiera.  Con Pino si recò a metà Aprile a Marana per un incontro con Marozin. Avvertiti che stava salendo un rastrellamento di fascisti decisero di attaccarli. Purtroppo per la presenza del parroco di Marana in mezzo ai fasciti diedero improvvidamente il "mani in alto". Si scatenò una sparatoria e Pino rimase ferito a una spalla, anche Ursus venne ferito di striscio al collo. Fu una delle numerose occasiobi in cui fu sfiorato (letteralmente) dalla morte. La battaglia si protrasse per parecchio tempo con arrivo di rinforzi da entrambe le parti (Dante e la sua pattuglia per i partigiani), autoblindo per i fascisti. Stante la presenza di feriti i partigiani si ritirarono.
Alla fine di Aprile Ursus venne mandato verso Schio per ricevere delle armi recuperate da Marte sul Movegno, ma sotto S.Caterina la pattiglia venne attaccata dai fascisti. Lo scontro si risolse positivamente per i partigiani che non ebbero alcuna perdita. Era il secondo scontro per Ursus che cominciò ad emergere per sangue freddo e coraggio. 
Date queste doti venne incaricato assieme a Tarzan e Aquila di catturare Piccoli, segretaro del fascio di Recoaro, Piccoli doveva essere preso vivo, ma nella sparatoria ferì Ongaro che lo colpì a sua volta uccidendolo.
Inviato in pianura nel Luglio 44 fu ferito una seconda volta., per i dettagli vedi Scontro a San Valentino di Brendola 12 Luglio 1944
Partecipò all'azione verso il Ministero della Marina e si aprì la strada combattendo quando i nazifascisti circondarono il battaglio Brill alla Piana.
Nell'inverno 44-45 divenne vicecomandante di brigata.
Fu un inverno terribile: il nucleo dei partigiani noti dovette nascondersi nelle tane scavate sottoterra. Questa sparizione durò quasi sei mesi.
Furono mesi terribili di paura, freddo e soprattutto fame. I collegamenti con i CLN Regionali e di Vicenza si erano interrotti e non arrivavano ai patrioti viveri e munizioni. Le famiglie che li nascondevano spesso non avevano di che mangiare.
La direttiva era di evitare rapine verso i contadini: se si spargeva la voce che quelli che si nascondevano erano banditi o ladri sarebbero stati rapidamente denunciati. Dai CLN dovevano arrivare soldi per comprare direttamente o per interposta persona i viveri. Ma ad un certo punto i soldi non arrivarono più. Non è che non ci fossero (dalla Svizzera ogni mese veniva mandato qualche milioni per la resistenza veneta), ma cominciava il gioco politico di finanziare forze diverse dai comunisti.
In questo quadro Ursus prese l'iniziativa di effettuare dei prelevamenti oculati verso chi, dal prelevamento, non sarebbe stato messo alla fame. Di tutto questo veniva rilasciata ricevuta (che vennero saldate nel dopoguerra) e tenuta scrupolosa contabilità. Gli storici Dal Lago e Zorzanello stimano che Ursus abbia procurato in quei drammatici mesi 479.000 lire. Somma che permise alla brigata di sopravvivere. Cosa ancor più importante dei prelevamenti Ursus e Catone distribuirono le somme procurate secondo il bisogno delle pattuglie.
Ursus non solo procurò i mezzi materiali per sopravvivere ma fu spesso, talvolta l'unico, riferimento morale alle famiglie degli arrestati e degli uccisi in quei tremendi mesi.
In primavera condusse i partigiani che gli erano stai affidati alla battaglia insurrezionale in qualità di vicecomandante di brigata.
Congedato con il grado di capitano trascorse la vita civile come bidello in una delle scuole di Valdagno