Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

«Era quasi l'alba del 20 febbraio 1945. Lungo la strada che da Quargnenta si inerpica sui monti verso località Lago passa lenta una pattuglia di partigiani di ritorno da una missione notturna. Il cielo è limpido e freddo». Così inizia lo scritto di Lorenzo Griffani sulla strage dei Grilli tratto dai racconti di alcuni dei protagonisti. Quindi era ancora buio, i partigiani tornavano da una missione notturna, faceva freddo, c'era almeno mezzo metro di neve, anche di più nei punti dove si era accumulata, tutti ricordano che quell'inverno ne era venuta tanta, la prima era caduta sui monti già in ottobre. Erano undici uomini: Ursus, Giro, Binda, Riccardo, Guerrino, Ortiga, Matto, Tailor, Granata, Alì e Scalabrin, una pattuglia del battaglione Brill comandata da Ursus, il vicecomandante della Brigata Stella. La missione era stata un prelevamento di viveri presso una famiglia di San Benedetto di Trissino legata ai fascisti, nella casa del contadino Vittorio Lazzari, dirà il quotidiano “Il Popolo Vicentino” del 12 marzo 1945, lì vicino abitava la madre del capo della Brigata Nera di Valdagno. Anche in quella occasione, sostiene Oreste Fioraso [Binda], i partigiani avevano rilasciato i soliti buoni, cioè l'impegno firmato che a fine guerra quanto prelevato sarebbe stato rimborsato. Questi prelevamenti erano necessari alla sopravvivenza degli uomini: «potevo forse mantenerli senza denaro e senza viveri?» scriverà Ursus a Catone una settimana dopo i fatti.
Giunti a Quargnenta gli uomini della pattuglia sostarono ai Bei nella stalla di Luigi Pellizzari e verso l'alba si divisero in due gruppi: Ursus, Giro e Binda s'incamminarono verso i Grigolati per raggiungere la Piana passando dalla Ruara, gli altri verso la casa di Guerrino ai Grilli dove, sotto la stalla, avevano scavato un rifugio.
Lì erano nascosti Ferro e Drago. «Avanzavamo piano per la neve e per il carico, in silenzio, Riccardo e Ortiga erano in testa alla colonna, io e Costantino [Guerrino] subito dietro appaiati. Erano circa le sei e mezza quando giungemmo in prossimità del rifugio» racconterà Cellerino Filotto, il partigiano Matto.
Ai Grilli li attendeva l'imboscata dei fascisti della compagnia Turcato della Brigata Nera. Quella mattina una cinquantina di uomini era salita da Valdagno e Cornedo; sapevano del nascondiglio ai Grilli, era stata una spia ad informarli, avevano persino una piantina, li comandava Emilio Tomasi [...]
I fascisti erano nascosti dietro ai cumuli di neve e i partigiani giunti nei pressi del rifugio si accorsero dell'imboscata quando ormai erano a pochi passi da loro. Intimando l'altolà i fascisti iniziarono subito a sparare. Riccardo e Ortiga davanti al gruppo vennero subito catturati, «Costantino, al mio fianco, fu investito da una raffica di mitra e cadde morto sul colpo….. mentre io e gli altri riuscimmo miracolosamente a fuggire» è ancora Matto a raccontare.
Intanto Ursus, Giro e Binda avevano già oltrepassato i Grigolati, allarmati dalle raffiche di mitra si accorsero di un gruppo di una quindicina di fascisti appostati poco oltre, cercarono allora di tornare indietro ma vennero visti e presi a mitragliate. Binda si liberò del tabarro e così trasse in inganno gli inseguitori che si attardarono nei pressi a togliere i sassi di una masiera alla ricerca di un nascondiglio che non c'era. «Giro prende tre pallottole di traverso che gli forano i pantaloni e gli spaccano la cintola, una raffica fracassa la radio che Ursus tiene sotto il braccio», scrive Griffani, ma sparando qualche colpo di pistola e fuggendo a perdifiato giù per i campi arrivarono incolumi a casa di Aldo Frizzo dove poterono stare nascosti fino a sera.
Ai Grilli, poco lontano dalle case, giaceva inanimato Guerrino. Riccardo e Ortiga erano prigionieri dei loro aguzzini. I fascsisti circondarono la contrada e fecero irruzione nell'abitazione di Santo Faccin, il padre di Guerrino.
«Quando sono arrivati i fascisti, noi eravamo a letto e abbiamo sentito la mitragliatrice che sparava contro una finestra, io ho avuto tanta paura! Siamo scesi dalla camera — ricorda Luigina Faccin — mio papà, quando è sceso, la prima cosa che ha fatto, ha preso la borsetta con i nomi dei partigiani e l'ha gettata nell’orto, è finita sotto la neve e non l'hanno vista. Quella è stata la salvezza di mio papà!».
Santo venne fatto uscire, lo legarono ad un palo e lo picchiarono perché non voleva dire dove era il nascondiglio, poi gli fecero portar fuori la mucca dalla stalla, gli fecero togliere la paglia e la terra e tirar su le assi che coprivano il bunker. Vennero trovati e tirati fuori Ferro, un altro figlio di Santo, al riparo nel rifugio quella notte perché malato, e Drago, un partigiano del battaglione Giorgio Veronese rimasto ferito due settimane prima ai Mettifoghi di Vestenanova in uno scontro con i tedeschi. Ettore Faccin descrisse così quei momenti «Catturati questi quattro partigiani, sono stati legati alle inferriate delle finestre, calati i pantaloni si sono messi a picchiare, calci, pugni e schiaffi botte e più botte, insulti; mio padre, anche lui legato picchiato soffrì per molti anni. Io avevo allora quattordici anni e mezzo, vedevo tutto, osservavo tutto ma ero tenuto a bada da un ragazzo di diciassette anni che, protetto dal padre, mi puntò la pistola al petto, voleva informazioni. Guardavo mia mamma e la sorella di dieci anni e mezzo: erano terrorizzate, un figlio appena ammazzato, e vedere quella scena, i fascisti erano inferociti, scatenati, non capivo perché tanto odio».
Poi vennero slegati e Santo lasciato andare.
Drago, Ferro, Ortiga e Riccardo vengono trascinati fino alla Ruara, ma la furia dei fascisti non è placata, lì continua il martirio. Le loro urla laceranti sono udite nelle contrade intorno. Infine cessano. I loro corpi straziati sono abbandonati nella neve. Sono quasi le undici, più di quattro ore è durato il supplizio!
Cosa accadde alla Ruara solo le quattro vittime e loro carnefici l'hanno visto ma quando i fascisti se ne andarono e tornò il silenzio chi abitava nelle case più vicine andò alla Ruara e quello che vide non lo dimenticò più. Racconta Domenico Dani:
«Mi ricordo bene quel giorno [...] siamo andati su a vederli. Io li ho visti, è difficile da dire come erano. Questo Riccardo l'avevano torturato, nessuno aveva assistito ma abbiamo visto i risultati, insomma gli avevano spaccato la testa, il cranio, non si vedeva neanche più il cervello, e gettato lì come un cane, proprio come un cane, come anche gli altri erano gettati là, io l'ho visto bene. Lui l'avevano pestato in tutti i modi, c'era la neve piena di sangue e tutta calpestata, ho visto la testa, il cervello non c'era più, c'era il buco proprio, penso che col calcio del fucile gli avessero spaccato la testa».
Griffani riporta nel suo scritto la testimonianza di Antonio Cabianca, guardia comunale di Brogliano: «Arrivato sul posto chiusi gli occhi per un attimo, e per poco non mi mancarono le forze: avevo seppellito tanti morti, anche mal ridotti, ma mai avevo visto una cosa così orribile. I corpi malformi erano cosparsi per il prato, la neve era tutta calpestata e rossastra, chissà quanto li avevano trascinati in giro sanguinanti prima di lasciarli morire […] Il riconoscimento è stato difficile perché i loro volti erano tumefatti dalle botte e sfigurati dalle pugnalate. A Ortiga dovevano aver piantato più volte il pugnale in bocca perché era tutta maciullata. A Riccardo avevano tagliato gli organi genitali e glieli avevano conficcati in bocca. Ferro, Guerrino e Drago erano tutti insanguinati e pugnalati e sono stati riconosciuti a stento».
Giancarlo Zorzanello, storico della Brigata Stella, ha raccolto nel 1976 la testimonianza di Irene Lucato: «Io, la sorella di Riccardo e un'altra mia cugina siamo state le prime ad arrivare sul posto dove avevano trucidato i cinque partigiani. […] Ricordo che il suo cadavere aveva nel petto un buco dentro il quale si poteva entrare con un pugno. Il buco era stato fatto con il calcio del fucile, a colpi. Uno degli occhi era fuori dell'orbita. I denti gli erano stati tolti con le baionette: aveva il labbro tutto tagliuzzato. Suo padre gli aveva lasciato un bell'anello d'oro con scritto il suo nome: ebbene avevano scarnificato il dito per togliergli quest'anello. Era senza scarpe. Il pollice era tutto tagliuzzato. Erano stati messi allo scoperto i tendini dei polpacci, come si fa per i maiali per appenderli. Non so se lo hanno attaccato anche lui. Certo che l'avevano tagliato lì in mezzo alle gambe. Poi con sua sorella ed altri che ci hanno dato una mano abbiamo portato su di un carretto i corpi dei partigiani al cimitero di Quargnenta. Mi ricordo che li abbiamo lavati e ricomposti un po'».
Maria Lucato, sorella di Riccardo, interrogata sul fatto riferito dalla cugina Irene, dei tendini messi allo scoperto disse che forse lo avevano agganciato dietro ad un camion e trascinato, mentre sul particolare dei genitali riferito da Antonio Cabianca disse di non averlo visto ma che in bocca aveva dei peli, disse anche che altri erano arrivati sul posto prima di loro e che forse per pietà avevano rimosso dal corpo di Riccardo i segni più oltraggiosi, ma non sappiamo chi, forse qualcuno venuto dalla contrada Grigolati, forse anche gli stessi familiari di Ferro e Guerrino o qualcuno dei compagni sfuggiti all'imboscata.[...]
Griffani riferisce che i corpi rimasero alla Ruara fino a tarda sera e che solo allora il becchino ottenne l'autorizzazione alla rimozione delle salme per il riconoscimento [...]
Vennero posti nel ripostiglio annesso alla cappella e l'indomani mattina un medico eseguì l'esame dei corpi, probabilmente l'ufficiale sanitario del comune Giuseppe Raco. Lo stesso giorno 21 febbraio pervenne al podestà di Brogliano una lettera del pretore di Valdagno che richiedeva i certificati di morte e un rapporto su giorno, luogo e ora del rinvenimento dei cadaveri[...[
La lettera del pretore accompagnava cinque permessi di seppellimento dei cadaveri di Faccin Gaudenzio Costantino di Santo di anni 18 di Brogliano, Faccin Danilo di Santo di anni 21 da Brogliano, Lucato Bovo Cesarino fu Gelindo Antonio di anni 23 di Brogliano, Povolo Antonio di Pietro classe 1921 di Recoaro contrada Beschi [...] e Roncari Silvano fu Pietro classe 1921 di Vestenanova[...]
Così il 21 febbraio 1945, quando furono pronte le cinque casse di legno grezzo e scavata una lunga fossa, vennero sepolti insieme nel cimitero di Quargnenta. Non ci fu un funerale, erano presenti il padre di Costantino e Danilo Faccin, i partigiani Guerrino e Ferro, la madre di Bovo Lucato, il partigiano Riccardo, forse una zia di Antonio Povolo, il partigiano Ortiga e nessuno dei familiari di Silvano Roncari, il partigiano Drago.

 

Per questa strage, rivendicata dalla brigata nera di Valdagno anche attraverso un manifesto, dopo la Liberazione sono condannati dalla CAS di Vicenza: Florindo Castagna (ergastolo), Amelio Fornasa (28 anni), Pietro Piccoli (26 anni), Bruno Scomparin (20 anni), Francesco Mulbauer (18 anni), Armando Donadello (14 anni), Roberto Dainese (14 anni), Ederino Gavasso (stralciato dal procedimento) ed il figlio Emilio (4 anni + 3 anni riformatorio); poi per tutti l’amnistia!
Oltre a Contrà Grilli, durante il rastrellamento sono tra l’altro saccheggiate: in Piazza a Chiampo il negozio di biciclette di Tarcisio Faedo di Giuseppe; in Contrà Molino, la casa di Giovanni Pernigotto di Angelo; in Contrà Caliari di Crespadoro, è dato alle fiamme il fabbricato rurale di Ermenegilda Bauce di Gaetano.

La Memoria:
Lapide eretta in località Ruara, recante la seguente iscrizione: “BRIGATA STELLA / BOVO LUCATO RICCARDO / FACCIN GAUDENZIO GUERRINO / FACCIN DANILO FERRO / RONCARI SILVANO DRAGO / POVOLO AGOSTINO ORTICA / I VOSTRI COMPAGNI D’ARMI VI RICORDANO / QUARGNENTA 20. 2. 1945”.

I nazi-fascisti coinvolti:
- 4^ Compagnia “Turcato” di Valdagno, 22^ brigata nera di Vicenza.
- Emilio Tomasi, Antonio Benincà, Lorenzo Bertacco, Bruno Bertoldi, Giovanni e Luigi Bertoldo, Giovanni Bruttomesso, Giuseppe Carlotto, Florindo Castagna, Roberto Dainese, Armando Donadello, Amelio Fornasa, Ederino Gavasso e il figlio Emilio, Vittorio Gemo, Giovanni Marchioro, Francesco Mulbauer e il figlio Mario, Gilberto Pellizzari, Sante Perlotto, Elieser Pernigotto Cego, Pietro Piccoli, Aldo Ponza, Gian Carlo Pozzani, Paolo Pregrasso, Marcello Pretto, Giovanni Rassu, Angelo Rigon, Carlo Roberti, Bruno Scomparin, Elio Spagnolo, Giovanni Visonà, Gio Batta Zamperetti, Giovanni e Domenico Zattera, Fortunato Zordan e altri.

I martiri dei Grilli Febbraio 44