Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

Dal sito dell'ANPI di Vicenza

Il contesto

La contrada Borga è situata nel territorio del comune di Recoaro Terme, in frazione di Fongara a 750 m s.l.m., lungo il ripido versante del monte Piasèa. Oggi si incontra questo nucleo abitato salendo alla località sciistica di Recoaro Mille, provenendo da S.Quirico, frazione a metà strada tra Valdagno e Recoaro.
Nel 1944 Borga era un insieme di costruzioni addossate l’una all’altra, con le abitazioni alternate a stalle e fienili. Le stalle però erano quasi vuote perché il bestiame alla fine di maggio era stato mandato in alpeggio nelle varie malghe che sono distribuite sui monti sopra Recoaro, dalla Lessinia al Pasubio.
A Borga in quel tempo vi erano 80 abitanti, distribuiti in 12 famiglie, con due soli cognomi ricorrenti, Borga e Cailotto, tutte unite da vincoli di parentela.
La popolazione di quella contrada era costituita da molti bambini e ragazzi (24 sotto i 16 anni) e da pochissimi anziani, solo 2 sopra i 50 anni, perché decimati dall’emigrazione e dai vuoti lasciati dalla prima guerra mondiale.
Anche con la Seconda Guerra Mondiale i giovani erano partiti per il fronte, chi in Russia per non fare più ritorno, chi in Africa per ritornare come mutilato e chi per finire prigioniero dei tedeschi o degli inglesi.
Quattro non erano partiti perché riformati o rivedibili, ma ugualmente li attendeva un destino tragico.

Nei primi mesi del 1944 la guerra cominciava ad avvicinarsi materialmente a Borga: aumentava la presenza di partigiani nei boschi circostanti, soprattutto di passaggio, perché a Borga, come a Fongara, i ribelli non avevano basi, perché la popolazione di quella zona era diffidente nei loro riguardi, anche se c’era chi, come il malgaro di Pizzegoro dava loro volontariamente burro ed formaggio. Forse questa diffidenza era data anche dal fatto che il Parroco di Fongara, don Severino Giacomello, era stato arrestato il 25 gennaio 1944 con l’accusa di aver dato ospitalità ai partigiani e ai renitenti. Era stato incastrato da due fascisti di Valdagno, che si sono travestiti da poveracci e si erano presentati in canonica. Incarcerato, fu processato presso il Tribunale Speciale di Parma dal quale venne prosciolto, ma ritornò alla sua parrocchia solo il 23 aprile, tre mesi dopo.

Gli antefatti

Nei mesi di aprile e maggio 1944 in quella zona erano successi alcuni fatti di una certa rilevanza.
Proprio a Pizzegoro, poco sopra la Borga, il 18 aprile, i partigiani avevano portato a termine il loro primo attacco a soldati tedeschi. Una pattuglia di nove uomini aveva teso un’imboscata a tre tedeschi che, presi alla sprovvista si erano arresi. Poco dopo la pattuglia li aveva giustiziati, occultandone i cadaveri. Nella guerra partigiana non si facevano prigionieri, anche perché non c’erano prigioni.
Il 26 aprile due partigiani uccisero un soldato tedesco in contrada Storti, poco lontano da Recoaro.
I tedeschi affiancati da reparti italiani, reagirono e il giorno successivo incendiarono le contrade Storti, Cornale e Pace. Quasi tutte le 92 case furono distrutte lasciando senza tetto 517 abitanti.
Forse intimoriti dall’ampiezza di questa rappresaglia, i partigiani sospesero nel mese di maggio le loro azioni nella zona di Recoaro. Ma questa tregua non dichiarata fu rotta proprio la sera del 9 giugno, due giorni prima dell’eccidio di Borga, quando sulla strada da Recoaro a Valdagno la pattuglia partigiana comandata dal padovano Luigi Pierobon “Dante” assaltò un convoglio che trasportava 8 compagni catturati dai fascisti. L’azione riuscì in pieno. I prigionieri furono tutti liberati e sul terreno rimasero i corpi di un tedesco e di un milite fascista.
Queste azioni fecero salire la tensione nella zona di Recoaro, specie tra i tedeschi, che avevano in corso un’importante operazione strategica.
Infatti, alla fine di aprile del 1944, in previsione dell’inevitabile arretramento del fronte sulla Linea Gotica, il Feldmaresciallo Albert Kesselring aveva deciso di spostare il Quartier generale Sud-Ovest e il Comando del gruppo di armate C, in pratica tutto il comando tedesco del sud Europa, da Frascati a Recoaro.
Qui agli inizi di maggio cominciarono i lavori di scavo dei bunker alle Fonti Centrali e la requisizione degli alberghi. La zona di Recoaro e tutta la Valle dell’Agno, da appartata e anonima retrovia, assumeva di colpo una primaria importanza strategica e per le truppe tedesche si poneva la necessità di difendere la nuova sede dei loro Comandi supremi contro ogni pericolo. La crudeltà dell’eccidio di Borga è forse attribuibile anche al bisogno di lanciare messaggi terribili e terrificanti contro tutti coloro che attentassero alla sicurezza dei tedeschi in quella zona.

I fatti

La mattina dell’11 giugno 1944 – era domenica – quattro soldati tedeschi di stanza a Valdagno, approfittando della libera uscita, avevano programmato un’escursione sui monti sopra Recoaro Terme. Il gruppo era formato da un sottufficiale, due graduati e un militare che facevano parte del “Reparto cacciatori del mare Brandeburgo”, la formazione segreta degli incursori tedeschi che aveva sede a Valdagno, perché utilizzava la locale piscina coperta per esercitarsi nelle immersioni.
Questo reparto era composto da militari senza scrupoli e in particolare da SS degradate per i loro comportamenti, alcune condannate addirittura a morte, a cui era concessa una specie di prova d’appello: per riabilitarsi dovevano partecipare a missioni particolarmente pericolose, come quella di combattere con gli incursori della marina.
Due di questi quattro tedeschi erano appunto delle SS degradate.
Essi si spostarono da Valdagno a Recoaro probabilmente in treno. Da qui a piedi salirono per il sentiero a fianco del Monte Spitz fino alla piana di Pizzegoro, che oggi corrisponde alla cosiddetta “busa” di Recoaro Mille. Da qui cominciarono la discesa direttamente verso Valdagno.
Passarono quindi per Fongara che attraversarono cantando.
La gente che ritornava dalla messa li vide scendere verso la contrada Borga. Erano passate le 11.

Gli abitanti di Borga si stavano riunendo nelle loro case per il pranzo. Alcuni giovani renitenti erano usciti dai loro nascondigli posti vicino alla contrada, poiché tutto attorno sembrava tranquillo.
Il caso volle anche che proprio allora fosse appena arrivato in contrada un gruppo di 10/12 partigiani alla ricerca di cibo. L’arrivo dei quattro tedeschi colse tutti di sorpresa e costrinse i partigiani e i renitenti ad una fuga precipitosa.

Secondo la versione dei fatti ricostruita dagli storici M. Dal Lago e F.Rasia, tre partigiani, molto giovani, reagirono d’impulso e si appostarono dietro la stalla di Luigi Cailotto, che era l’ultima in fondo alla contrada. I tedeschi non si erano accorti di nulla e procedevano con passo normale scendendo lungo la strada. Appena superata quella stalla dalla loro destra partì una breve raffica di mitra. L’SS Hermann Georges, 22 anni, fu colpito alle spalle. Prima di morire riuscì a estrarre la pistola e a sparare.
Gli altri tre tedeschi, trovandosi completamente allo scoperto, si buttarono per i prati a valle della strada per portarsi fuori tiro. I tre partigiani non li seguirono, ma si ritirarono subito risalendo il pendio del Monte Piasèa.

Secondo la versione data dal Parroco di Fongara, Don Severino Giacomello, al vescovo Mons. Zinato pochi giorni dopo il fatto, non ci fu imboscata, ma lo scontro fu del tutto casuale, anzi furono i soldati tedeschi che vedendo i tre partigiani fuggire verso Piasèa, spararono per primi contro di loro. Essi si limitarono a rispondere al fuoco e la loro mira fu più precisa.

Come successero veramente i fatti non è ancora stato del tutto chiarito, anche perché nessuno ha mai fatto i nomi dei tre partigiani e anche tra i testimoni non partigiani, che si ha motivo di credere esistano ancor oggi, nessuno ha mai rivelato questi importanti particolari.

Comunque sul terreno, ai margini della contrada Borga, è rimasto un soldato tedesco delle SS, ucciso. Gli altri tre, rimasti vivi, non si fidarono di ritornare a recuperare il compagno colpito forse per timore che tra le case o nei boschi circostanti ci fossero ancora partigiani e scesero di corsa a Valdagno.
I tre però compresero che non sarebbe stato facile giustificare davanti ai superiori il loro comportamento: perché hanno abbandonato il loro compagno, forse ancora vivo? perché sono fuggiti di fronte al nemico? Senza reagire? Proprio loro che dovevano “riabilitarsi”?!.
Perciò riferirono al comando di essere stati attaccati di sorpresa da 20-25 persone uscite con le armi dalle case. Aggiunsero che anche gli abitanti della contrada avevano collaborato con i ribelli.
Proprio da questa falsa ricostruzione ebbe origine il dramma di Borga.
Scattò subito la rappresaglia. In meno di un’ora fu mobilitato lo “Jagdkommando” di Valdagno.
Questo era il “commando caccia” che era addestrato ed equipaggiato allo specifico scopo di combattere i partigiani e che affiancava le varie formazioni regolari.

Intanto, nel silenzio che seguì la sparatoria, la gente di Borga uscì dalle case per capire cosa era successo. Trovato il cadavere del tedesco, tutti compresero la gravità del fatto e tutti convennero che abbandonare la contrada equivaleva ad una dichiarazione di colpevolezza. Tre donne scesero allora a Valdagno per spiegare al comando tedesco che gli abitanti di Borga non erano responsabili della morte del soldato, il cui corpo non venne neppure toccato.

Ma già alle due del pomeriggio una cinquantina di tedeschi a bordo di tre autocarri arrivarono alla contrada. Il “commando caccia” era affiancato anche dalle SS in prova che volevano vendicare il loro compagno ucciso. La presenza di queste SS spiega in parte la crudeltà e l’eccesso di violenza con cui venne condotta la rappresaglia.
Scesi dagli automezzi i tedeschi appostarono le mitragliatrici e poi setacciarono la contrada entrando in tutte le case, urlando e sparando e facendo uscire tutti gli abitanti. Antonio Cailotto, 66 anni, il più anziano della contrada non fu pronto a uscire e venne ucciso nella sua cucina, mentre i due figli erano costretti a raggiungere il gruppo di uomini rastrellati e radunati al centro del cortile. Erano in 16.
Intanto si era messo a piovere a dirotto come capita spesso in montagna nei pomeriggi estivi.
Le donne i ragazzi ed i bambini, una sessantina in tutto, vennero avviati sulla strada verso Fongara. Ma dopo la curva, che toglie la visuale sulla contrada, vennero fatti sedere per terra e tenuti sotto la minaccia delle armi.
Gli uomini, dopo essere stati costretti a sfilare davanti al corpo del soldato tedesco ucciso, furono fatti sdraiare per terra e percossi con il calcio del fucile. Infine furono fatti rialzare e mentre la fila si ricomponeva il tenente Stey fece allontanare dal gruppo Biasio Borga, un ragazzo di 17 anni, che raggiunse le donne ed i bambini. I quindici rimasti vennero condotti sul prato sotto la strada comunale.
Ad un ordine del tenente Stey il plotone di esecuzione posto sopra la strada li sterminò tutti con raffiche di armi automatiche. Invece del colpo di grazia i tedeschi usarono le bombe a mano, cosicché molti corpi divennero irriconoscibili.
Il massacro però non era finito.
Giovanni Cailotto, 24 anni, che era riuscito a nascondersi fino a quel momento, fu individuato e catturato. Condotto nel prato dove giacevano, tra gli altri, i corpi dei suoi tre fratelli, fu ucciso.
Presero anche il corpo di Antonio Cailotto, l’anziano che era stato ammazzato nella sua abitazione, e lo gettarono assieme agli altri.
Erano circa le tre del pomeriggio e a causa dell’uccisione di un solo tedesco, 17 uomini della contrada di età compresa tra i 18 e i 66 anni, giacevano straziati sul declivio del prato sotto la strada.  Alle Fosse Ardeatine furono uccise 10 persone per ogni tedesco. Qui la rappresaglia fu in proporzione molto più crudele.
Ma non era ancora finita.
Compiuta la strage i tedeschi richiamarono nella contrada le donne e diedero loro un’ora di tempo per liberare le bestie e salvare qualche suppellettile. Alle 16 la contrada sarebbe stata incendiata.
Luigi Cailotto, che fino a quel momento era riuscito a rimanere nascosto nella sua casa, uscì per allontanare dalla stalla il suo mulo, ma fu subito catturato.
Interrogato dall’interprete raccontò che aveva sentito lo sparo provenire da dietro il suo fienile e di essere subito uscito e di aver trovato il corpo del soldato riverso per strada. Il tenente Stey, forse considerando che 17 morti per quel giorno potevano bastare lo lasciò in vita.
Pertanto dei 25 maschi della contrada di età superiore ai diciassette anni, 17 furono uccisi, 2 furono risparmiati e sei si salvarono perché quel giorno erano lontani da Borga.

 

Gli uccisi sono:


Borga Luigi Antonio, Borga Pietro, Borga Severino, Borga Giovanni, Borga Riccardo, Borga Guido, Borga Antonio, Borga Gelindo, Borga Emilio, Borga Antonio, Cailotto Antonio, Cailotto Massimo, Cailotto Carlo, Cailotto Clemente, Cailotto Domenico, Cailotto Giovanni, Cailotto Luciano.
Erano tutti apparentati.

I tedeschi, compiuto l’eccidio, non si interessarono più né dei morti, né di quelli rimasti vivi.
Le autorità italiane locali, forse impressionate dalla dimensione del disastro, non seppero come reagire. L’unico che ebbe pietà dei morti e si dette da fare per soccorrere chi era rimasto vivo fu il parroco di Fongara, Don Severino Giacomello, che avrebbe poi scritto dettagliatamente i fatti nel libro delle cronache parrocchiali, oltre che nella lettera che egli mandò al Vescovo di Vicenza.
In essa, dopo quattro giorni dai fatti, denunciava: “Da parte del Comune di Recoaro non ho visto nulla e nessuno”. Quella povera gente, straziata dai lutti e dal dolore, era rimasta priva di tutto: cibo, vestiario, brande su cui dormire, tetto sotto cui ripararsi. Un paio di famiglie furono ospitate in canonica altre si arrangiarono come poterono.
Solo verso il 21 giugno, dieci giorni dopo, arrivarono i primi soccorsi.

Epilogo

Contro i responsabili di questa strage solo nel 2000 la Procura militare di Padova aprì il procedimento n. 279 contro Ludwig Diebold, comandante della guarnigione tedesca di Valdagno, per il reato di “violenza continuata mediante omicidio” perché in località Borga di Recoaro “disponeva la fucilazione di 17 civili, non partecipanti ad operazioni belliche, cagionandone la morte”.
Il 10 giugno 2001 l’Interpol di Roma comunicò che Diebold era deceduto in un paese dell’Austria superiore il 14 maggio 1995.
Il giudice per le indagini preliminari, preso atto che il reato si era estinto per il decesso dell’imputato, archiviò il caso il 1° marzo 2002.

Il monumento a ricordo della strage

(A cura di Giorgio Fin )

 

Bibliografia

La presente narrazione è tratta soprattutto dalla ricostruzione operata dagli storici Dal Lago e Rasia, ma anche di altre fonti.