Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

La strategia di Dante e Pino

Riportamo da una ricerca del prof. Zorzanello

Normalmente le pattuglie partigiane che scendevano dai monti di Recoaro avevano il compito di agire lungo le principali vie di comunicazione a danno di mezzi di trasporto tedeschi o contro qualche presidio fascista. Terminata la missione la pattuglia rientrava alla base presso le contrade della montagna. Di questo tipo era, per esempio, la missione della pattuglia di «Ubaldo», Mario Molon, la quale doveva intercettare automezzi tedeschi e fascisti sulla strada statale 11. Purtroppo la missione ebbe un finale tragico: il capo-pattuglia «Ubaldo», catturato in contrada Calpeda di Arzignano, fu fucilato a Chiampo il 5 giugno 1944 assieme ad Illido Garzara, della brigata Vicenza
Di una missione analoga era stata incaricata la pattuglia di «Furia», Francesco Gasparotto, che era partita da Selva di Trissino il 28 giugno ed era rientrata il 2 luglio '44. Nell'intervallo aveva attaccato un camion tedesco nella zona della Ghisa di Montecchio Maggiore causando la morte del tenente Walter Fuhr e del maresciallo Ernst Utz del presidio tedesco di Valdagno. Anche i tedeschi però avevano reagito uccidendo a loro volta un partigiano, «Piccolo», Carlo Battistella, e ferendone un altro, «Remo», Giovanni Sola.
La pattuglia di «Ursus», invece, aveva un incarico molto diverso. Essa doveva costituire una base sui colli Berici simile a quelle che esistevano nelle contrade intorno a Recoaro o a quella che «Ermenegildo» aveva costituito a Selva di Trissino. Una base, cioè, dove le pattuglie partigiane avrebbero potuto trovare rifugio, vettovagliamento, protezione e finanziamento da parte dei CLN locali, sotto le cui direttive avrebbero poi dovuto effettuare azioni e sabotaggi contro le forze nazifasciste.
Non era la prima volta che a una pattuglia veniva affidata una missione del genere: il 23 giugno 1944 l'intero distaccamento di «Cita», Ennio Pozza, composto di 21 uomini, dotati di 7 armi automatiche, 14 moschetti e 35 bombe a mano, si era trasferito dal monte Civillina in pianura ed era riuscito a radicarsi tra Lonigo - Montagnana - Castelbaldo costituendovi nuovi distaccamenti e iniziando nella zona la lotta armata.
Coloro che avevano ideato questa strategia e che la attuavano erano «Dante», Luigi Pierobon, comandante e commissario del battaglione Stella e «Pino».

«Dante», in una lettera allo zio prete del 9 luglio 1944, ne fa esplicito riferimento: «Ho cominciato con distaccamenti in pianura e altre pattuglie continuerò a mandarvi quanto prima. Per ora ho mandato ad esplorare la zona e a saggiare la popolazione» .

I principali motivi che spingevano «Dante» e «Pino» a mettere in atto questo collegamento montagna-pianura erano i seguenti:

  • - disorientare i fascisti e i tedeschi, colpendoli nei luoghi più diversi, sia in montagna che in pianura; - diminuire le rappresaglie nazifasciste contro le contrade di montagna;
    - alleggerire il carico che dovevano sostenere le famiglie abitanti in quelle contrade per quanto riguardava il vettovagliamento e l'alloggio dei partigiani che sempre più numerosi salivano in montagna;
    - coinvolgere nella lotta armata i contadini della pianura, fino a quel momento piuttosto tiepidi nei riguardi dei partigiani; 
    - ritardare la trebbiatura del frumento in pianura e ridurne la quantità da versare all'ammasso, cioè nei magazzini della Repubblica sociale italiana.

L'accordo «Garemi» - Marozin
La missione di «Ursus», però, aveva anche un motivo del tutto particolare per spostarsi a sud, fuori della Valle dell'Agno. Esso va ricercato nell'accordo del 24 giugno 1944 tra «Alberto» e «Sergio», responsabili della brigata A. Garemi, e «Vero», Giuseppe Marozin, comandante della brigata Vicenza. Questo accordo, tra le altre cose, stabiliva le zone di giurisdizione delle due formazioni: al battaglione Stella, che era la formazione della Garemi direttamente a contatto con la brigata Vicenza, era riservata la zona nord dei Lessini, comprendente il territorio di Recoaro e Valdagno. Veniva tolta la zona sud della valle, dove si trovava il distaccamento di «Ermenegildo». 

In base a questo accordo, dunque, «Ermenegildo» avrebbe dovuto abbandonare la sua base di Selva. In effetti nella lettera del 7 luglio, oltre a comunicare a «Pino» la partenza della pattuglia di «Ursus», «Ermenegildo» assicura che anch'egli, assieme alla pattuglia di «Speranza», Bortolo Rossato, sarebbe partito la sera stessa. 
Prima di sera, però, accadde un fatto che per poco non risolveva in maniera imprevista e definitiva il problema delle zone di giurisdizione: lo scoppio accidentale di una bomba all'interno del Roccolo dei Righettini. L'esplosione, che poteva avere conseguenze tragiche, provoca solo ferite superficiali tra coloro che si trovavano all'interno del Roccolo. «Ermenegildo» riporta tre ferite alla coscia sinistra che gli impediscono di muoversi se non a fatica. 
Nessuna ferita alle mani, per cui è in grado poco dopo l'incidente di informare «Pino» dell'accaduto. Naturalmente, partire in quelle condizioni era impensabile: Sono francamente spiacentissimo per non essere potuto partire per quel luogo in cui dovevo recarmi.          

Tre giorni dopo l'incidente, «Pino» inviò a Selva una nuova pattuglia agli ordini «Rosso», Silvano De Vicari, di Recoaro, con la quale «Ermenegildo» avrebbe dovuto scendere in pianura, una volta ristabilitosi. Passarono due giorni e «Pino» insistette ancora con «Ermenegildo» per la realizzazione di questa missione: «Ricevo con piacere la notizia dell'arrivo della pattuglia Rosso - gli scriveva il 12 luglio, proprio il giorno in cui la pattuglia «Ursus» cadeva nell'imboscata di contrà S. Valentino - Il compito che gli è stato affidato è di vitale importanza e pertanto è necessaria la tua presenza sul posto, perché tu conosci la zona e avrai mezzi d'informarmi rapidamente» .  Su questa missione di vitale importanza e sulla zona a cui erano destinati «Ermenegildo» e «Rosso» non è stato possibile saperne di più.
Ad ogni modo cinque giorni dopo l'arrivo della pattuglia di «Rosso», «Ermenegildo», che nel frattempo era guarito dalle ferite alla gamba, era ancora fermo a Selva: «Anche questa volta ti scrivo da Selva - inizia la lettera datata 17 luglio e indirizzata sempre a «Pino» - mentre tu mi crederai in un altro luogo. Il fatto della mia non partenza lo si deve a due cause: 1° ad Aquila Nera [Teodoro Moro] che ritiene necessaria la mia presenza in Selva per il fatto del lancio; 2° a Furia che non si può più muovere che a gran fatica».  
Nonostante manifesti il «profondo desiderio di voler andare a provare e tentare di dare nuove basi ad un distaccamento» le giustificazioni della sua mancata partenza appaiono deboli: il lancio infatti era in quel momento una possibilità piuttosto vaga, frutto più che altro della fantasia di «Aquila Nera» e «Furia», per essere curato, non aveva certo bisogno di avere vicino «Ermenegildo». In realtà le ragioni della riluttanza di «Ermenegildo» ad allontanarsi dalla base di Selva vanno ricercate nelle sue critiche all'accordo tra la brigata Garemi e la brigata Vicenza dal quale discendeva l'impegno a smobilitare il distaccamento di Selva per lasciare posto a Marozin: «È necessario — afferma nella lettera a «Pino» citata sopra — indurre Morosin [sic] a nuove clausole di rapporti tra noi e lui, essendo le già fatte veramente da detestarsi»Poche ore dopo aver inviato questa lettera «Ermenegildo» venne a conoscenza di quanto era successo alla pattuglia di «Ursus» e questo gli diede una ragione, questa volta molto forte, per non muoversi da Selva. Le notizie furono portate da «Giro» che fece una prima lacunosa relazione dei fatti. 

La pattuglia di «Ursus» verso la pianura 
A questo punto non resta che narrare quanto avvenne tra il 5 e il 12 luglio alla pattuglia di «Ursus». Purtroppo le fonti scritte si riducono alle due brevi relazioni già citate. In compenso, però, ci sono le testimonianze orali di due protagonisti, «Ursus» e «Giro», che le hanno rilasciate tra il 1975 e il 1976 contestualmente ad un sopralluogo da loro fatto nella zona dove avvenne l'imboscata. Ecco quindi la ricostruzione dei fatti come risulta dall'incrocio di tutti i dati a disposizione. La pattuglia parte da Selva di Trissino la sera del 5 luglio e ha come meta le colline di Perarolo, sui colli Berici. Lì avrebbe dovuto prendere contatto con Carlo Segato, che in questo periodo é sfollato con la famiglia nella zona di Tavernelle — Altavilla e fa parte del Comando militare provinciale. Scende per S. Benedetto, Restena, Tezze di Arzignano, attraversa la valdagnese un po' più a nord delle «baracche» della Marina, sale sulle colline di SS. Trinità e qui avviene il primo incontro imprevisto che sarà foriero di conseguenze, come vedremo. La pattuglia, nonostante cerchi di passare inosservata, viene avvicinata da Gelsomino Camerra che vive proprio nella contrada sopra le «baracche» della Marina e che non esita a metterla in contatto con quattro-cinque marinai del presidio al Sottosegretariato alla Marina della Rsi. «Ursus» e i suoi nel vedere le divise repubblicane si mostrano sospettosi e diffidenti: pretendono che i marinai nella casa di Gelsomino siedano senza armi e di fronte a loro, che invece le armi le tengono imbracciate pronte per essere usate. I marinai propongono ad «Ursus» nientemeno che un colpo di mano ai danni del Presidio di cui fanno parte. I primi contatti per la più clamorosa delle azioni che il battaglione Stella porterà a termine nella notte tra il 23 e il 24 luglio, sono stabiliti. Ma sul momento la proposta dei marinai non fa deviare «Ursus» dai suoi obiettivi. Gelsomino, che conosce la zona, si offre di accompagnare la pattuglia per un tratto del percorso. Da SS. Trinità si spostano verso S. Urbano, scendono in Carbonara, attraversano la statale 11 nella zona di Selva di Montecchio e già sono sulle colline di Brendola. Arrivati nella zona di Perarolo, mentre aspettano che il rappresentate del Cln si faccia vivo fanno opera di convincimento tra i contadini della zona affinché ritardino la trebbiatura del grano. Consegnano anche ricevute con i timbri della brigata A. Garemi attestanti la avvenuta requisizione di determinate quantità di frumento. Purtroppo i giorni passano senza che Carlo Segato, o alcun altro componente del Cln locale o provinciale si faccia vivo. Secondo «Ursus» nessuno si presentò a causa del timore che i partigiani fossero fascisti travestiti da partigiani, come era successo giusto un mese prima, l'8 giugno, a Grancona, dove con questo inganno sette renitenti erano stati barbaramente trucidati.

Dell'esito della missione diamo conto in un'altro doc, sotto Ursus (primo a sx) e Rigodanzo (con i baffi) di cui si parla in questo documento