Brigata Nino Stella

Eroi della resistenza nel vicentino

Marozin, comandante della Pasubio, dopo il rastrellamento del 13 settembre con 18 suoi fedeli si trasferì a Milano. Gli altri partigiani della Pasubio confluirono per la maggiorr parte nella Stella formando tre battaglioni; altri formarono formazioni dipendenti da Giustizia e Libertà o dal PSI. Non abbiamo trattato la storia della Pasubio che merita ben altro approfondimento. Comunque ricordiamo che il Marozin fu condannato a morte dal CLN di Vicenza. Terminata la guerra volle tornare nella valle del Chiampo e questo interessa la Stella perchè vi fu uno scontro a fuoco.

E così con due autovetturel (FIAT 2008)  e con alcuni suoi fidi il Marozin ritornò il giorno 3 maggio 1945 in Arzignano, per rivedere la madre che, gli avevano detto, era stata rilasciata dal campo di concentramento di Bolzano.
Senonché giunto in detto paese apprendeva che la notizia era completamente falsa; si tratteneva ugualmente in zona, facendo un discorso dal balcone del municipio in cui annunciava he l'indomani sarebbero stati impiccati 20 fascisti. Si recava poi nelle carceri dove picchiava i fascisti detenuti promettendo che l'indomeni sarebbero stati giustiziati. I prigionieri terrorizzati chiamavano durante la notte il prete per confessarsi.
Risaliva poi la valle distribuendo ad alcuni parroci sussidi in denaro; probabilment presi dalla zecca della RSI che aveva occupato a Milano. Pernottava con i suoi uomini a Campanella di Altissimo.
Verso le ore 5 del 4 maggio 1945, scendendo in macchina lungo la Valle del Chiampo verso Arzignano, il Marozin veniva fatto segno, in località S. Rocco, a colpi d'arma da fuoco, cosicché immediatamente reagiva riuscendo a catturare tre giovani che subito dichiaravano di aver fatto ciò su ordine del loro comando partigiano.Il Marozin, allora, accompagnava i tre patrioti ai carabinieri di Arzignano (che erano stati in precedenza riarmati da "Tigre"), disarmava i carabinieri  e quindi si dirigeva con i suoi uomini verso Vicenza, senonché nei pressi dell'autorimessa "Monticello" Trovava ad attenderlo "Tigre" con una ventina di partigiani.
"Tigre" (Intelvi Luigi) aveva segnalato la presenza del, per loro, fuorilegge Marozin in quel di Arzignano ricevendo l'ordine di arrestarlo e, se opponeva resistenza, di ucciderlo. "Tigre", volendosi liberare dall'idea che potesse trattarsi di un fatto personale chiedeva ordine scritto e lo riceveva.
Nella zona della autorimessa avveniva l'incontro, secondo la testimonianza di Tigre la pattuglia della si approssimava per comunicare l'ordine di arresto, ma senza che sia stato chiarito come fosse iniziato avveniva un conflitto a fuoco tra partigiani. Come sia accaduto ciò, le versioni sono alquanto contrastanti, cosicché si ritiene opportuno riportare integralmente le dichiarazioni rese dai due maggiori protagonisti, il Marozin ed il Tigre, nonché il resoconto fatto subito dopo tale episodio dal giornalista Donald Downes.
Il Marozin così dichiarava (vedi fog. 2 e segg. suo interrogatorio):
"Vedevo venir avanti circa 25 partigiani armati e comandati da certo Tigre. In quel momento mi trovavo fermo davanti all'autorimessa Monticello, poiché stavo facendo fare il pieno di benzina all'automobile. Con me vi erano circa 7 o 8 partigiani che mi avevano accompagnato da Milano, elementi fidatissimi e da lungo tempo militanti nelle formazioni della Resistenza. Improvvisamente venivo fatto segno a colpi d'arma da fuoco e, prima che mi potessi rendere conto di quanto stava succedendo, cadevo ferito unitamente ad altri due o tre miei partigiani. Gli altri che erano con me aprivano immediatamente il fuoco, riuscendo in tal modo a fermare i nostri aggressori che stavano avvicinandosi. Nel contempo uno dei miei fedeli riusciva a telefonare al Comando Alleato di stanza a Montecchio Maggiore, il quale prontamente interveniva con delle autoblindo.
Anche quando ero caduto a terra ferito, sono stato fatto segno a colpi di arma da fuoco, senza peraltro venire ancora colpito. Dal Comando Alleato venivo fatto trasportare a Milano, dove sono rimasto per un lungo periodo degente in un ospedale. Per quanto riguarda tale aggressione ritengo che il motivo debba ricercarsi nel fatto che volevano impossessarsi della terza chiave in mie mani. Deduco ciò: I) dall'avermi fatto andare ad Arzignano con la certezza che mia madre era stata rilasciata dal campo di concentramento, sapendo che ciò era l'unico motivo per cui mi sarei mosso da Milano; 2) dalle modalità stesse dell'aggressione come sono state da me riferite; 3) dall'ordine dato ai partigiani di Vicenza, i quali non potevano né erano nelle condizioni di sapere che io il 3 sera o nelle prime ore del 4 maggio mi sarei trovato in tale zona.
Non posso, infatti, credere che il "Tigre" abbia agito in seguito alla Sentenza (della cui esistenza dubito, non avendola mai vista) con la quale sarei stato condannato a morte...
Durante la mia degenza presso l'Ospedale S. Giuseppe di Milano consegnavo al dott. Ferruccio Gabellini, Direttore Generale dell'Istituto Poligfafico dello Stato, a Eucardio Momigliano, Commissario straordinario e rappresentante allora del Ministero del Tesoro, ed a un Maggiore Generale alleato, la terza chiave, come da ricevuta rilasciatami a firma dei tre predetti il giorno 19 maggio 1945 del seguente tenore: "Dichiaro di ricevere dal Comando della Divisione una serie delle chiavi del Tesoro di Via Mantegna, presa in consegna da questa Divisione. Con la consegna delle suddette chiavi è ultimata la restituzione del materiale preso in consegna. Firmato: i tre suddetti".

Il Tigre ha, da parte sua, sostenuto:

"Dopo la liberazione, presidiavo con la mia brigata "G. Veronese" la Valle del Chiampo fino ad Arzignano. Nella sera del 3 maggio 1945, recandomi a Brogliano per salutare i miei famigliari, mi incontravo uscendo da Arzignano con alcune macchine dalle quali delle persone sparavano all'impazzata. Non davo alcuna importanza alla cosa, poiché in quei giorni tutti sparavano. Verso le ore 20 ritornavo in Arzignano e non vedendo circolare persona alcuna, mi preoccupavo di tale fatto. Apprendevo così che nella zona vi era stato il Marozin, il quale, durante la mia assenza, aveva parlato in piazza: aveva minacciato di morte ed era stato nelle carceri bastonando dei prigionieri.
Sentendo ciò mi preoccupavo maggiormente e ritenevo opportuno ed urgente avvertire il comando partigiano di Valdagno dal quale dipendevo, recandomi subito personalmente. Parlavo, quindi, con Jura e Catone, i quali mi davano l'ordine di catturare il Marozin, cosicché, ritornato in Arzignano, impartivo le opportune disposizioni, avvertendo i partigiani di Tezze e quelli di Bolca e quindi me ne andavo a letto.

Verso le ore 7 del 4 maggio 1945 venivo avvertito che il Marozin stava disarmando i partigiani, cosicché mi recavo all'albergo "La Rosa" nel quale in quell'epoca alloggiava un reparto partigiano. 
Informavo detti partigiani di quanto stava succedendo e con circa 15 uomini mi mettevo in cerca del Marozin. Giunto alla caserma dei carabinieri accertavo che anche i carabinieri, da me armati la sera prima a loro richiesta, erano stati disarmati qualche ora prima dal Marozin, il quale stava spargendo ovunque il terrore, tanto più che la sera precedente aveva precisato che avrebbe fucilato una ventina di persone.
Mentre mi trovavo sulla strada nei pressi della caserma dei carabinieri, scorgevo poco lontano verso Vicenza un carrettino trainato da un cavallo con sopra dei bidoni per latte e dietro a breve distanza il Marozin.
Immediatamente davo ordine agli uomini di nascondersi, mentre io, stando in mezzo alla strada e tenendo il mitra puntato verso terra, mi avvicinavo al Marozin, il quale, vedendomi, si muoveva a sua volta verso di me tenendo la pistola puntata e circondato dai suoi uomini sparsi a scacchiera e cioè come volessero impegnare combattimento. Data la distanza (oltre 50 metri) e confidando nel fatto che nessuno avrebbe sparato, continuavo ad avvicinarmi.
Improvvisamente il Finco si staccava dal gruppo e approfittando di alcuni ripari offertigli dalle stesse condizioni del luogo cercava di aggirarmi e cioè di prendermi alle spalle.
Senonché veniva visto sia da me che dai miei uomini ed allora il Finco rompeva improvvisamente gli indugi aprendo il fuoco contro di noi, che subito abbiamo risposto. Il Finco cadeva subito ferito ed io attendevo di sparare solo contro il Marozin, poiché desideravo di colpirlo per primo.
Nel frattempo l'autovettura dietro la quale il Marozin si era nascosto si incendiava cosicché questi era obbligato ad uscire da tale riparo ed io allora potevo colpirlo ad una gamba. Il Marozin così ferito veniva subito soccorso dai suoi uomini e trasportato dietro ad un riparo mentre il fuoco continuava cruento dall'una e dall'altra parte.
Da una casa vicina veniva per telefono avvertito il Comando americano, che immediatamente mandava sul luogo dei militari che ordinavano la cessazione del fuoco... Non ero affatto a conoscenza che il Marozin, quando è venuto ad Arzignano, fosse in possesso delle chiavi della Zecca d'Italia".

Il giornalista Donald Downes, appartenendo all'Agenzia di notizie di oltremare Pro.Det.A. AFHQ-APO 512 U.S. Army, così riferiva l'episodio in questione (vedi copie fotostatiche in atti all. int. unp.):

"A chi di diritto. Alla fine di aprile ed al principio del maggio 1945 ero molto interessato a scrivere sul movimento partigiano dell'Italia del Nord. Tra gli altri ufficiali e capi partigiani incontrai Giuseppe Marozin detto "Vero", il capo della Divisione Pasubio.
Venivo il 6 maggio informato che egli era stato vittima di una imboscata con pochi suoi uomini, coi quali, come mi aveva detto, stava recandosi ad Arzignano. Prima di partire mi disse che non era benvoluto nella provincia di Vicenza-Arzignano, poiché egli si era rifiutato di eseguire ordini politici e di fare parte con la sua divisione del partito comunista.
Preso con me Guidobaldo Trionfe quale interprete, partii subito con la jeep per il luogo dell'imboscata per raccogliere notizie dei fatti allo scopo di scriverne la storia per la stampa americana: attriti nel movimento partigiano tra i partiti politici. A Vicenza intervistai il sig. Lievore, capo del C.L.N., il quale mi disse che Marozin aveva causato molte noie per aver combattuto i tedeschi troppo apertamente ed in questo modo aveva causato rappresaglie da parte dei tedeschi contro villaggi.
Mi precisò che il Marozin non si era sottomesso alla disciplina e che si era rifiutato di eseguire i suoi ordini. Aggiunse che il Marozin fu condannato a morte dal C.L.N. di Vicenza nel novembre del 1944 per dette trasgressioni. Avendogli chiesto come erano  rappresentati i partiti in seno al C.L.N. in occasione di detta condanna, egli mi disse che solamente il suo partito (comunista) era rappresentato, poiché tutti gli altri rappresentanti politici erano stati arrestati dai tedeschi.
Lievore ammise, con un pò di vanteria, che aveva dato ordine il 4 maggio 1945 ad un uomo chiamato Tigre (nome di battaglia): Marozin sta venendo a Vicenza da Arzignano; prendete i vostri partigiani e spazzatelo via.
Più tardi, nello stesso giorno, visitai i feriti dell'imboscata ricoverati presso l'ospedale di Arzignano, trovando quasi un completo accordo fra gli uomini della Pasubio ed il Tigre sui fatti dell'imboscata, cioè che un numeroso gruppo di uomini del Tigre aveva aperto il fuoco su pochi uomini della Pasubio, mentre quest'ultimi erano disarmati e stavano riempiendo di benzina ad un garage di Arzignano le loro due autovetture.
Quando chiesi al Tigre perché avesse sparato contro il Marozin ed i suoi uomini, egli mi rispose di aver ricevuto ordine dal C.L.N. di Vicenza di spazzarlo via, usando così le medesime parole pronunciatemi poco prima dal Lievore.
Interrogato sul conto del Marozin, il Tigre si dimostrò una persona onesta e coraggiosa, asserendo che aveva obbedito agli ordini poiché personalmente nulla aveva contro il Marozin da esso ritenuto "un buon soldato". Tigre ammise di aver fatto parte della Divisione Pasubio e di averla abbandonata per istruzione del partito... ma non volle dire quale partito".
Nello scontro morivano 
Massignani Angelo (Finco) e Attilio Coffele (Lingia) del gruppo di Marozin, valorosi partigiani che avevano combattuto in Lessinia e per la liberazione di Milano, Da parte della Stella restavano feriti Tigre (gamba sinistra e spalla destra, Adelino Cattazzo (Bill)  di Vestenanuova.
Restavano feriti da parte di Marozin lo stesso Marozin (pallottola al femore) e Francesco Guarienti (Casca) con prognosi di 60 giorni. 
Rimasero feriti nella sparatoria 8 civili che nulla c'entravano.
Richiamati dal comando di piazza e dagli stessi carabinieri accorsero da montecchio gli americani che caricarono il gruppo Marozin sulle sue macchine e lo indirizzatrono a Milano.
E' opportuno spendere una parola su Casca. Di origine nobiliare era parente della famiglia di un noto penalista veronese e di un altrettanto noto giornalista. Non era perciò un delinquente di strada in una banda di fuorilegge. La Pasubio (e ovviamente il Marozin) dopo lo sfacelo del settembre 44 si diressero a Milano dove furono una delle poche unità militari ad operare all'interno della città (sotto la direzione del PSI e di Pertini); nei giorni della liberazione svolsero importanti azioni prima che dalla Valsesia arrivasse il Monterosadi Cino Moscatelli. Nei giorni successivi furono riconosciuti come liberatori dalla popolazione di Milano e dal Governatore Militare americano.
Al di là del personaggio Marozin è opinione dello scrivente che la maggioranza del pattuglione che ritornò ad Arzignano fossero convinti che la loro azione nella capitale del nord italia li avesse mondati di ogni colpa dell'estate precedente e si aspettassero di essere accolti con festeggiamenti.